GLI IMMIGRANTI ITALIANI, IL COCOLICHE, E IL SAINETE
Sophia Scorcia
Non dovrebbe essere una sorpresa che gli italiani hanno avuto un’influenza notevole sulla cultura argentina. Nel tardo ottocento, c’era un’ondata d’immigranti che hanno lasciato l’Italia per trovare più opportunità e una vita migliore nell’Argentina. Tra il 1881 e il 1910, per esempio, 2.3 milioni d’immigrati sono arrivati in Argentina attraverso il porto di Buenos Aires.[i] Infatti, il numero d’immigranti era così alto che il 40% della popolazione di Buenos Aires è stata composta da immigranti italiani tra il 1880 e il 1930.[ii] Con questa presenza incontrovertibile, ha come risultato che la cultura argentina, e specificamente la cultura rioplatense di Buenos Aires, ha assorbito aspetti della cultura italiana ed è diventata qualcosa di nuovo e diverso. La stessa cosa è accaduta nell’ambito della lingua—i dialetti italiani che hanno portato gli immigranti si sono mescolati con lo spagnolo rioplatense, creando una nuova lingua parlata: il cocoliche. Oggigiorno, il cocoliche non esiste più perché la lingua è sparita dopo la prima ondata dell’immigrazione italiana.[iii] Comunque, questa lingua è stata importante nella vita e cultura dell’Argentina ottocentesca e del primo novecento, ed è stata particolarmente importante nell’evoluzione del teatro popolare.
Il cocoliche evolveva perché gli immigranti italiani avevano bisogno di comunicare. Gli immigranti che sono arrivati nel tardo ottocento parlavano dialetti regionali e spesso erano analfabeti; quindi, non è solo che non parlavano lo spagnolo, ma anche non avevano neanche una buona comprensione della loro propria lingua nazionale.[iv] Secondo lo studioso Alejandro Patat, “I limiti tra l’italiano e lo spagnolo diventano diffusi nella interlingua del parlante cocoliche, che non si rende conto dell’interferenza di una lingua sull’altra e della reciproca contaminazione; dunque, la perdita della consapevolezza della propria lingua non viene accompagnata dall’acquisito della consapevolezza dell’altra.”[v] In altre parole, il cocoliche non è una vera e propria lingua che è stata costruita e insegnata—si è sviluppato in un modo più passivo, e semplicemente perché gli immigranti dovevano sopravvivere in un nuovo paese.
C’è anche un altro tipo di lingua che si è sviluppato nell’Argentina con l’influenza degli italianismi—il lunfardo. Il cocoliche “si colloca in una posizione variabile tra l’italiano e lo spagnolo” nella mescolanza delle due lingue nel vocabolario, nella pronuncia, e nelle strutture grammaticale, mentre il lunfardo “appartiene interamente allo spagnolo rioplatense.”[vi] Nel lunfardo, gli italianismi appaiono in vari modi. Il modo più chiaro in cui gli italianismi appaiono è nei casi in cui il significato originale della parola italiana rimane e sostituisce la parola spagnola.[vii] La parola “negocio” dall’italiano “negozio,” per esempio, è usato nel lunfardo invece di “tienda,” la parola spagnola.[viii] Ci sono altri casi, comunque, in cui alcune parole italiane hanno ricevuto “una nuova accezione quando rientra nel parlato colloquiale.”[ix] Per esempio, il verbo lunfardao “manyar” viene dal verbo “mangiare” e significa la stessa cosa nel cocoliche, ma nel lunfardo il verbo “manyar” ha un significato più metaforico e non si riferisce a una consumazione fisica ma invece una intellettuale—“manyar” significa “intendere” o “rendersene conto.”[x] Inoltre, alcune parole italiane hanno assunto un nuovo significato metaforico quando sono state incluse in frase idiomatiche lunfarde, come “dar un pesto a alguien” (“dare una bastonata a qualcuno”), o “tener polenta” (“essere attivo, creativo, o energetico”).[xi] Nel complesso, il lunfardo è un modo rioplatense di parlare lo spagnolo ed è stato creato e parlato consapevolmente, mentre il cocoliche è stata creata inconsciamente dagli immigranti che lo parlavano senza rendersene conto di aver mescolato l’italiano e lo spagnolo.
È difficile spiegare tutte le peculiarità del cocoliche (e anche comprenderle senza una formazione specifica nella linguistica), ma Edmondo De Amicis ci fornisce una breve riassunto della lingua nel suo libro Sull’Oceano (1889): “si mescolano elementi morfologici spagnoli e italiani nella stessa parola, e parole spagnole ed italiane nella stessa frase, oltre ai cambiamenti semantici e ai calchi.”[xii] Un altro aspetto importante da capire del cocoliche è che era soprattutto orale fino a che alcuni autori teatrali lo hanno usato nelle loro opere, specificamente negli anni 80 del ottocento nelle opere teatrale del genere sainete.[xiii]
Che cos’è il sainete?
Il sainete è un tipo di teatro che ha origine nella Spagna e che fa parte del género chico (genere piccolo o corto). Generalmente, il sainete è uno spettacolo di solo un atto, è generalmente comico e allegro, e di solito la trama riguarda un conflitto d’amore e si conclude con un lieto fine.[xiv] È arrivato in Argentina grazie agli immigranti spagnoli che emigravano nel paese, ed è rapidamente diventato un aspetto importante del teatro nazionale argentino.[xv] Lo sviluppo del sainete fa parte dello sviluppo del teatro popolare in generale, che rappresentava un’alternativa all’arte e teatro delle élites. C’era una divisione notevole nella cultura delle classi alte e quelle basse, e questa divisione è anche visibile nell’ambito del teatro; il Teatro Colón, per esempio, è un teatro che ha messo in scena un’arte più raffinata. Il Teatro Colón è stato ricostruito nel tardo ottocento e ha aperto ufficialmente nel 1908, e ha messo in scena opere con delle cantanti e musicisti più famosi dall’Europa che ha attirato un pubblico ricco e aristocratico. In modo contrastante, teatri popolari come il teatro Pasatiempo hanno messo in scena spettacoli che hanno attirato un pubblico popolare, spettacoli come i drammi del género chico spagnoli. Nonostante il fatto che il teatro Pasatiempo fosse un teatro per il popolo, comunque, questo teatro guadagnava i più soldi dei tutti i teatri a Buenos Aires alla fine dell’ottocento.[xvi] Questo Pasatiempo è anche molto importante nella storia del sainete. Nel 1889, il teatro è stato diviso in tre sezioni diverse con ogni sezione che metteva in scena uno spettacolo di uno atto diverso, e eventualmente altri teatri cominciavano a fare la stessa cosa, creando sale indipendenti dentro il teatro proprio. Conseguentemente, la richiesta per spettacoli per riempire queste sale è aumentata, permettendo alla forma teatrale del sainete di svilupparsi.[xvii]
Comunque, anche se il sainete fosse generalmente comico, esplorava anche temi importanti che rappresentavano aspetti della vita quotidiana nelle classi popolari. Il sainete era molto spesso ambientato nei conventillos, un tipo di palazzo in cui vivevano le persone delle classi popolari incluso immigrati da varie nazioni, ma il conventillo influenzava anche la trama dello spettacolo. Per esempio, uno dei primi sainetes scritto da Nemesio Trejo (un autore di sainete molto importante), Los óleos del chico (Il battesimo del ragazzo) drammatizzava la vita della classe operaia e parlava dei problemi come affitti alti e salari bassi.[xviii] Inoltre, in un altro sainete famoso di Trejo del 1907, Los Inquilinos (Gli inquilini), la parte principale della trama e del conflitto era uno sciopero nei conventillos—ciò che più conta, comunque, è che gli scioperanti escono vittoriosi alla fine. Questo sainete chiaramente è stata una rappresentazione dello sciopero per l’affitto che è accaduto nel 1907 nei conventillos di Buenos Aires.
Le sainete di Alberto Vacarezza—un altro autore importante che ha scritto più di 200 sainetes—esploravano anche aspetti socioculturali e mettevano in scena rappresentazioni degli zeitgeist dell’epoca.[xix] In altre parole, i sainetes riflettevano le abitudini dell’epoca e “responded immediately to the concerns, struggles, and history of its audience” [hanno risposto immediatamente alle preoccupazioni, alle lotte, e alla storia degli spettatori].[xx] Il grotesco criollo, un altro genere del teatro argentino caratterizzato delle opere di Armando Discépolo, ha quest’aspetto in comune con il sainete nel senso che gli spettacoli “approfondisc[ono] la tematica sociale e familiare dell’immigrato.”[xxi] In conclusione, perciò, il teatro popolare non rappresentava solo un’opportunità di divertirsi o scappare dalla realtà, ma rappresentava anche un’opportunità per la classe operaia di affrontare la realtà della vita ed essere l’eroe della propria storia.
Che c’entra l’immigrato italiano con il sainete?
La figura dell’immigrato italiano è entrata nel sainete con gli spettacoli della compagnia dei Fratelli Podestá. I Fratelli Podestá era un gruppo di attori rioplatensi fondato dai fratelli della famiglia Podestá, figli di immigrati genovesi che sono arrivati a Buenos Aires ma dopo si sono trasferiti a Montevideo in Uruguay. La loro compagnia dominava il genere del circo criollo, la forma del teatro popolare più diffuso in Argentina nell’ottocento, e ha legato il circo con il sainete negli anni 80 e 90 dell’ottocento.[xxii] Nel 1884, la compagnia ha messo in scena uno spettacolo pantomimo che raccontava la storia di Juan Moreira, un romanzo famoso scritto da Ricardo Gutiérrez nel 1879, e eventualmente José Podestá ha scritto anche un copione per lo spettacolo. Nel 1888, il personaggio più famoso che José Podestá ha mai creato è entrato nello spettacolo—il personaggio cocoliche di Pepino el 88.[xxiii] Il termine “cocoliche” viene dal cognome di un immigrato calabrese—il cognome vero era Coccoliccio—che ha lavorato per i fratelli Podestá, e quest’uomo e il suo modo di parlare ha dato l’ispirazione a José Podestá di creare un personaggio italiano pagliaccesco.[xxiv]
Pepino el 88 era un personaggio buffonesco che rappresentava un italiano bozal. Il termine “bozal” si riferisce a un immigrante che non ha una completa padronanza della lingua locale, e questa incapacità di parlare è visibile nel Pepino el 88, che parla il cocoliche.[xxv] Lo spettacolo di Juan Moreira e l’interpretazione del Pepino el 88 di José Podestá ha diffuso il personaggio cocoliche, tanto che “la presenza dell’immigrato italiano e del suo cocoliche assume[va] una rilevanza significativa” nel sainete, diventando una parte fondamentale di questo tipo di teatro.[xxvi] Infatti, la figura dell’italiano e “la sua parlata si cristallizza come convenzione del genere.”[xxvii] L’immigrato italiano, in altre parole, aveva così tanta rilevanza nella società e cultura rioplatense e la parlata e le caratteristiche di questo immigrato erano tanto diffuse e conosciute che la figura dell’italiano aveva un ruolo considerevole nella costruzione di questo teatro nazionale argentino.
Comunque, la rappresentazione dell’immigrato italiano era soprattutto negativa e stereotipica. L’italiano è rappresentato come uno straniero, uno che è diverso dagli altri, che cerca di integrarsi nella società locale ma che non riesce a farcela—è rappresentato “come soggetto estraneo al tessuto sociale preesistente e, in una visione estremista, come elemento pericoloso che avrebbe portato alla dissoluzione stessa della nazione.”[xxviii] Questa rappresentazione è direttamente legata al primo esempio della figura italiana nel teatro argentino, quello di Pepino el 88 e lo spettacolo di Juan Moreira. In questo spettacolo, non era soltanto il parlare che distingueva il personaggio di Pepino el 88, ma anche il suo tentativo di imitare la lingua e comportamenti di Moreira, il personaggio principale e il vero criollo.[xxix] Juan Moreira racconta la storia di Moreira proprio, un gaucho che sta scappando dalla legge, e Pepino el 88 è un “Italian-trying-to-be-criollo”—un imitatore, un aspirante criollo.[xxx] Nell’ambito della cultura e della costruzione del nazionalismo argentino, il gaucho è considerato la figura rappresentativa dell’identità argentina. Perciò, il gaucho nello spettacolo, Moreira, “percepisce lo straniero come un intruso da cui si sente minacciato, soprattutto nella sua libertà sopra un territorio sterminato nel quale poteva vivere fino a quel momento come un nomade e che l’operosità degli immigranti cominciava a trasformare.”[xxxi] In questo senso, l’italiano rappresenta uno straniero che minaccia l’identità nazionale con le sue azioni buffonesche e il suo spagnolo imbastardito.
El Conventillo de la Paloma, 1929
Un sainete di Alberto Vacarezza
In questo sainete, Miguel è il personaggio italiano
Nel suo modo di parlare, ci sono aspetti del cocoliche nelle parole, nei verbi, e nella grammatica. Per esempio:
- Miguel usa la parola “zorromaco,” che è cocoliche per “corazón” (cuore)
- Usa la parola “cazzotto,” una parola italiana, invece della parola spagnola (golpe)
- Lui dice:”¡Siete…lo animale piú bruto che hai visto al mondo.” Un gioco linguistico con il numero “siete” (spagnolo) e la forma “voi” del verbo italiano “essere”
- Aggiunge la lettera “e” alla fine dei verbi per italianizzarli, come “hablare” (invece del verbo spagnolo “hablar”), “prevenire” (invece dello spagnolo “prevenir”), e “ire” (usato per “andare” invece dello spagnolo “ir”)
Quindi, ci troviamo davanti a un paradosso interessante nello studio del sainete e l’immigrato italiano. Da un lato, l’analisi del sainete ci mostra che la presenza degli italiani in Argentina era importante e influente, perché l’identità migratoria italiana è entrata nella letteratura e nel teatro argentino; infatti, “quasi tutti gli scrittori argentini dalla metà dell’Ottocento a oggi hanno creato personaggi, situazioni, oggetti, spazi italiani all’interno delle loro trame e delle loro storie.”[xxxii] Inoltre, considerando che i sainete drammatizzavano la vita quotidiana e il pubblico si identificavano con i personaggi e la lingua negli spettacoli, la presenza della figura dell’italiano illustra il fatto che c’erano molti immigrati italiani che guardavano i sainete e che vedevano le loro vite rappresentati nella storia. Da un altro lato, comunque, l’analisi del sainete ci mostra che l’immigrato italiano è stato visto come qualcosa di esterno rispetto alla identità argentina. Il personaggio italiano e le sue abitudini, la sua parlata, e il suo tentativo di diventare un vero argentino sono presi in giro, ed è chiaro che questo personaggio è uno straniero che non fa parte del corpo nazionale. Magari questo non è vero per tutti gli immigranti italiani, ma invece solo quelli della prima generazione che volevano mantenere la loro identità italiana e il loro legame con la patria. Per esempio, in una versione messa in scena nel 1910 di Los amores de Giacumina, una storia che racconta le relazioni amorose della figlia d’immigrati genovesi, la Giacumina parla spagnolo rioplatense senza nessuna traccia del cocoliche, significando possibilmente che anche se gli immigranti non erano potuti diventare veri argentini, i loro figli ci riusciranno.[xxxiii] Ciò nonostante, la personificazione dell’immigrato italiano è veramente negativa e pessimista.
Il teatro è una forma d’arte molto particolare perché lo imita la vita reale davanti agli spettatori attraverso l’allestimento e la recitazione, e lo crea un legame molto intimo e delicato tra gli attori e il pubblico. Il teatro può cambiare il modo in cui una persona pensa e vede il mondo e conseguentemente provocare una vera trasformazione sociale, ma può anche perpetuare e diffondere stereotipi dannosi. Il sainete argentino fa entrambi le due cose. Lo rappresenta la vita, le esperienze, e le lotte della classe operaia e immagina un mondo in cui le persone delle classi bassi—che sono spesso ostracizzate e abbandonate—sono trionfanti, ma allo stesso tempo diffonde una comprensione dell’esperienza migratoria che sostiene che gli immigranti non riescono mai a integrarsi nella cultura del loro paese adottato.
[i] Judith Evans, “Setting the Stage for Struggle: Popular Theater in Buenos Aires, 1890-1914,” Radical History Review 21 (Fall 1979): 50.
[ii] Grazia Fresu, “I migranti Italiani nel teatro argentino parlavano cocoliche (mix di dialetti italiani e spagnolo),” La macchina sognante, http://www.lamacchinasognante.com/i-migranti-italiani-nel-teatro-argentino-parlavano-cocoliche-mix-di-dialetti-italiani-e-spagnolo-di-grazia-fresu/.
[iii] Juan Antonia Ennis, “Italian-Spanish Contact in Early 20th Century Argentina,” journal of Language Contact 8 (2015): 115.
[iv] Fresu, “I migranti Italiani nel teatro argentino parlavano cocoliche (mix di dialetti italiani e spagnolo).”
[v] Alejandro Patat e Angela Di Tullio, “Argentina,” in Vida nueva: La lingua e la cultura italiana in America Latina (Macerata, Italy: Quoadlibet Srl, 2012), 44.
[vi] Patat e Di Tullio, “Argentina,” 48.
[vii] Patat e Di Tullio, “Argentina,” 50.
[viii] Patat e Di Tullio, “Argentina,” 50
[ix] Patat e Di Tullio, “Argentina,” 50.
[x] Patat e Di Tullio, “Argentina,” 50.
[xi] Patat e Di Tullio, “Argentina,” 58.
[xii] Citato in Patat and Di Tullio, “Argentina,” 45. Per un senso più comprensivo delle specifiche del cocoliche, legga: Ennis, “Italian-Spanish Contact in Early 20th Century Argentina,” specificamente pagine 134-139; Ulysse Le Bihan, “Italianismos en el habla de la Argentina: herencia de la inmigración italiana: Cocoliche y lunfardo,” Dissertation (Università di Oslo, 2011).
[xiii] Fresu, “I migranti Italiani nel teatro argentino parlavano cocoliche (mix di dialetti italiani e spagnolo).”
[xiv] Le Bihan, “Italianismos en el habla de la Argentina: herencia de la inmigración italiana,” 18.
[xv] Le Bihan, “Italianismos en el habla de la Argentina: herencia de la inmigración italiana,” 17.
[xvi] Evans, “Setting the Stage for Struggle” 50-51.
[xvii] Evans, “Setting the Stage for Struggle,” 51.
[xviii] Evans, “Setting the Stage for Struggle,” 52.
[xix] Angélica J. Huízar, “Alberto Vacarezza entre el tango y el sainete: Ideología en el conventillo,” Hispamérica 36, no. 107 (August 2007): 103.
[xx] Le Bihan, “Italianismos en el habla de la Argentina: herencia de la inmigración italiana,” 18; “Evans, “Setting the Stage for Struggle,” 54.
[xxi] Patat e Di Tullio, “Argentina,” 45, nota 1; Fresu, “I migrant Italiani nel teatro argentine parlavano cocoliche (mix di dialetti italiani e spagnolo).”
[xxii] Evans, “Setting the Stage for Struggle,” 51.
[xxiii] Ennis, “Italian-Spanish Contact in Early 20th Century Argentina,” 127-128; Evans, “Setting the Stage for Struggle,” 51.
[xxiv] Patat e Di Tullio, “Argentina,” 45; Fresu, “I migranti Italiani nel teatro argentino parlavano cocoliche (mix di dialetti italiani e spagnolo).”
[xxv] Ennis, “Italian-Spanish Contact in Early 20th Century Argentina,” 128, nota 14.
[xxvi] Fresu, “I migranti Italiani nel teatro argentino parlavano cocoliche (mix di dialetti italiani e spagnolo).”
[xxvii] Patat e Di Tullio, “Argentina,” 45.
[xxviii] Patat e Di Tullio, “Argentina,” 33.
[xxix] Ennis, “Italian-Spanish Contact in Early 20th Century Argentina,” 128-129.
[xxx] Evans, “Setting the Stage for Struggle,” 51.
[xxxi] Fresu, “I migranti Italiani nel teatro argentino parlavano cocoliche (mix di dialetti italiani e spagnolo).”
[xxxii] Patat e Di Tullio, “Argentina,” 35.
[xxxiii] Ennis, “Italian-Spanish Contact in Early 20th Century Argentina,” 132.